Abbiamo recentemente collaborato con Martina Lorusso, in arte Momusso, per il suo nuovo progetto di specchi illustrati che sono in mostra alla Galleria delle Arti di Città di Castello fino al 9 aprile. Siamo felici che da questo incontro sia nato un sorprendente sodalizio con Martina e che presto darà vita ad altre interessanti novità.
Ma prima di svelarvi i nuovi progetti condivisi abbiamo pensato di intervistarla e farci raccontare un po’ più di lei e dei suoi specchi.
Partiamo da una domanda di rito. Chi vede Martina/Momusso quando si guarda allo specchio?
Una donna che ancora non conosco ma che mi affascina. Ma se mi sforzo e guardo meglio non ne vedo solo una ma tutte quelle che sono.
E cosa/chi vedi riflesso dietro le tue spalle?
(Quali sono le persone, le esperienze e le passioni che ti hanno portato dove sei ora?)
La mia famiglia che ha sempre creduto in me ancora prima di capirci qualcosa. Le città e le case dove ho vissuto, gli amori non corrisposti, quelli corrisposti, le mancanze e le cose non ancora fatte. Sono un’emozionauta in balia delle emozioni, non mi fanno paura e le vivo alla massima potenza.
A proposito di specchi… Il tuo nuovo progetto è in mostra alla Galleria delle Arti di Città di Castello. Ci vuoi raccontare qualcosa in più su come è nato e fino a quando sarà visitabile?
L’idea è nata da un lavoro svolto lo scorso anno per il liquore St-Germain. Ad un loro evento ho disegnato su uno specchio in piazza Gae Aulenti. Mentre disegnavo mi sono persa ed è stato meraviglioso ritrovarsi in quei tratti. Quest’anno ho preso coraggio e ho iniziato a disegnare su specchi fatti da un anziano vetraio di Terni. Poi ho trovato delle cartoline specchio e ho iniziato a disegnare e a improvvisare delle cacce al tesoro. Tutto questo mi ha spinta a realizzare la mostra a Città di Castello e, insieme a Printaly, a creare questi enormi specchi dove il soggetto riflesso diventava parte dell’opera. Perché tutti noi siamo delle opere d’arte viventi. L’arte senza chi la vive non esiste.

Il tuo progetto mi ha ricordato i “quadri specchianti” di Pistoletto e il suo voler includere nell’opera lo spettatore e l’ambiente circostante. Una specie di autoritratto del mondo che mette in comunicazione arte e vita. C’è un collegamento?
L’Arte non esiste senza l’uomo e l’uomo non esiste senza l’Arte per questo Pistoletto mi ha ispirata per realizzare il progetto degli specchi. Faccio riferimento ad una frase di Bruno Munari “Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone”. L’Arte quando diventa “utile” cambia la vita delle persone che l’attraversano, cambia la società, cambia i sogni delle persone e plasma l’intero mondo. Penso a questo quando disegno, a cose apparentemente semplici: la semplicità è il desiderio di ritornare là dove si è stati felici e sollevati dal peso del mondo, a quando eravamo bambini. Il gioco e la semplicità sono elementi efficaci dell’insegnamento. Poi credo che in un’epoca così fortemente colpita da così poca empatia, ci sia bisogno di tornare ad un livello di vita “a qualche metro da terra”.
Non trovi sia curioso che il verbo riflettere significhi sia specchiare che pensare? Mentre però lo specchio normalmente rimanda indietro una cosa così com’è, il riflettere in quanto ragionamento fa riferimento alla trasformazione delle informazioni in qualcosa di più complesso. Il tuo progetto in qualche modo sembra aver fuso insieme i due concetti: da un lato il vedersi dentro una superficie riflettente e dall’altro acquisire il riflesso della propria immagine, questa volta però trasformato.
Credo che sia magico ciò che hai scritto perché sei riuscita a dire ciò che ho solo tentato di fare. Allora forse sto riuscendo nell’intento. Io so con certezza che il tempo ci cambia, il nostro vissuto e le nostre emozioni influenzano la visione di noi stessi. Ho cercato di catturare gli attimi delle persone che si “momentano” davanti a loro stesse come fossero un’Opera mai realizzata prima. In questo caso ci “realizziamo” nell’istante che diventa eterno. Catturare il tempo, un gioco da bambini.
Il tuo modo di fare illustrazione è stato da sempre contraddistinto dall’unione del disegno e della parola. Non a caso il libro che hai pubblicato circa due anni fa, Vocabolario sentimentale, fa emergere già dal titolo la volontà di mettere l’illustrazione al servizio della comunicazione di un’emozione. Quando hai capito che questo metodo era quello che più ti rappresenta?
Sono partita da un’esigenza espressiva. Da una mancanza di parole. Mi sono detta “ma questa emozione che provo, come potrei farla capire a qualcun’altro?” Ho iniziato anche qui a giocare. Inventarsi delle frasi che avessero anche un suono dolce mi ha dato la forza di metabolizzare le emozioni nuove che crescendo si presentavano in me. Crude e spietate.
L’illustrazione focalizza un piano immaginario che, insieme alla parola, forma un universo infinito di significati. L’interpretazione della parola è soggettiva e dipende dalle esperienze vissute di chi la legge. Questo di conseguenza innesca un processo di empatia che non puoi più fermare. Se si capisce se stessi e l’altro, si è più felici e le cose possono essere più semplici, no?

Anche in questo progetto, la tua mano, attraverso il segno, e il tuo pensiero, attraverso le parole, sono proprio lì di fronte alle persone affinché esse possano, sì vedersi allo specchio, ma anche rivedersi in ciò che tu esprimi. Sembra che il più grande motore della tua arte sia il bisogno incessante di condivisione, di relazione, di mettersi in contatto. Non è così?
Spesso ci sentiamo soli, in casa, in mezzo alla gente. Non ci sentiamo capiti e non ci percepiamo. Credo sia una forma di depressione il “non sentirsi”. Noi siamo fatti per vivere insieme agli altri, tanto vale cercare di essere felici. Si dice che i social tendano ad allontanare le persone, relegarle in isole di convinzioni e credenze, di polemiche e difese. Ma non è così. Attraverso la condivisione ho scoperto quanto può essere magico il legame che unisce persone che a volte nemmeno si conoscono. Perché semplicemente accomunate dall’essere UMANE, fratelli e sorelle. Le differenze diventano medaglie, pregi e per assurdo ci si sente simili. Che strani esseri che siamo.
Se potessi sbirciare oltre lo specchio, che vorresti vedere nel tuo futuro?
Non voglio sapere, non voglio vedere. Voglio stupirmi! Ma vedo amore infinito perché non posso vivere altrimenti.
